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La ciclabilità è un tema Covid?

La ciclabilità è un tema Covid?

No. Non può esserlo, sarebbe riduttivo, e cerco di spiegarvi perché.

Durante le lunghe settimane di quarantena e in queste prime di riapertura, si è sentito improvvisamente parlare di ciclabili da parte di chi non ha mai investito su di esse, come se queste fossero il grande argomento su cui riversare ora pensieri e risorse, una necessità scoperta (ohibò!) solo a causa della crisi che stiamo vivendo e del bisogno di gestire il distanziamento sociale.
Nulla sarà come prima. Quante volte abbiamo sentito questa frase e in quanti casi è stata associata a previsioni di una nuova politica sostenibile e ambientalista?

La politica, si sa, è capace di riempire le pagine dei giornali con grandi proclami. E altrettanto temo sia oggi per questo tema.
Vorrei che provassimo a vederla da un altro punto di vista: il Covid ci ha messo di fronte alle nostre mancanze, non ci ha proposto un nuovo argomento su cui investire. Parlare di investimenti sulla ciclabilità solo per l’emergenza sanitaria oggi vuol dire ammettere di essere in una situazione di assenza: assenza di ciclabili, di aree pedonali e ciclopedonali che favoriscano la vivibilità dei centri storici, di servizi di mobilità alternativa.

Per questo investire ora sulle ciclabili è un dovere, perché siamo in ritardo, non perché c’è il distanziamento sociale. Siamo culturalmente in ritardo su investimenti che ci avrebbero permesso, alla riapertura delle scuole, di guardare con più serenità alle soluzioni sulla mobilità. Che sia per il Covid o per le malattie correlate a polveri sottili e sedentarietà, non abbiamo più scuse. Ma sarebbe più onesto non dire che stiamo agendo perché il Covid ci ha cambiato prospettiva, ma semplicemente perché siamo in tremendo ritardo.